Contrordine, la seconda lingua straniera sparisce dalla
riforma
Facoltative le principali radici linguistiche
dell'Europa. Soltanto l'insegnamento dell'inglese resta obbligatorio
di Gaspare Barbiellini Amidei
Pochi se ne sono accorti, ma dal 12 di ottobre, grazie all'articolo 25 del
decreto legislativo che attua la legge 53, cioè la Riforma della scuola, le
radici linguistiche dell'Europa continentale sono diventate «facoltative». Se
infatti i nostri figli potranno conoscerle, va bene. Altrimenti si consolino
parlando e scrivendo soltanto in italiano e in inglese. Non c'era modo peggiore
per fraintendere il senso della nostra cultura, figlia e sorella di Firenze, di
Parigi, di Madrid, di Barcellona, di Provenza, di Palermo, di Arborea.
Non c'era modo più drastico di negare a generazioni la lettura diretta della
grande filosofia da Cartesio a Pascal, da Kant a Hegel. Così ci si rimangia uno
dei punti migliori della Riforma. Essa accanto all'inglese introduceva per ben
due ore alla settimana l'insegnamento di una seconda lingua straniera
comunitaria, francese, spagnolo o tedesco che fossero. Contrordine: «Al fine di
offrire agli studenti l'opportunità di conseguire un livello di apprendimento
della lingua inglese analogo a quello della lingua italiana - afferma l'articolo
25 - è data facoltà, nella scuola secondaria di primo grado, alle famiglie che
ne facciano richiesta, di utilizzare, per l'apprendimento della predetta lingua,
anche il monte ore dedicato alla seconda lingua straniera comunitaria. Resta
ferma la possibilità di avvalersi di una seconda lingua comunitaria nell'ambito
delle attività ed insegnamenti facoltativi».
Come scrive male il legislatore, qualche ora di
francese, lingua regina dei codici, non danneggerebbe il suo periodare! E
quanti poi ricorreranno alla via «facoltativa»? Pochi. Sfiora il paradosso
l'idea di Flaubert e di Cervantes in lizza facoltativa con gli approfondimenti
di culinaria. Nel suo disegno originario la Riforma attribuiva all'inglese quasi
due ore settimanali per tredici anni. Sono poi divenute tre ore curricolari.
Adesso su richiesta delle famiglie possono crescere fino a cinque ore,
sottraendo una parte alla seconda lingua, retrocessa in serie B nell'apoteosi di
internet, globalizzazione ed esigenze di mercato.
Modelli culturali che sono nel nostro sangue neolatino e nella nostra formazione
musicale e filosofica, anche continentale e germanica, si fanno gregari di una
lingua passe-partout , elevata a seconda parlata madre. È retrocessa a opzionale
una conoscenza che poi, all'università, secondo la facoltà che si sceglie,
talvolta si rivela indispensabile, in letteratura come in filosofia, per fare
solo un esempio. E la filologia? Quando intravedo il disegno di «semplificare»
gli ambiti della conoscenza, rabbrividisco. Le lingue europee non sono soltanto
uno strumento per lavorare nel mercato dell'Unione, sono memorie e chiavi di un
comune sentire, i poeti di un Paese devono assonanze e metafore a quelli di un
altro, le letterature custodiscono trame comuni, come ci ha insegnato la critica
moderna. Con altre due lingue oltre la nostra, lo studente della scuola statale
poteva essere più ricco. Con una padronanza più fitta del solo inglese,
praticato in modo «analogo» a uno sgrammaticato italiano, avrà forse più
probabilità di essere assunto a tempo determinato in un «call center», alias
centralino telefonico.
Gaspare Barbiellini Amidei
23 novembre 2005 |