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Parlare di scuola senza garbugli: a proposito della Direttiva del 25 luglio.

di Stefano Stefanel



Il 2 agosto scorso, durante un molto pubblicizzato incontro, i Sindacati della Scuola hanno chiesto al Ministro Giuseppe Fioroni l’emanazione – tra l’altro - di una
Direttiva che indicasse cosa fare il prossimo anno scolastico in riferimento alla Riforma Moratti. Il Ministro si è impegnato ad emanarla, ma forse non sapeva di averla già emanata il 25 luglio. Così quando è apparsa la Direttiva generale sull’azione amministrativa e sulla gestione per l’anno 2006 (prot. n. 5960/FR del 25 luglio 2006) qualcuno ci è rimasto male. Chi ha scritto la Direttiva forse non aveva informato Fioroni oppure Fioroni aveva firmato distrattamente un documento che appare come uno dei soliti "pistolotti" burocrartici che l’Amministrazione centrale, gli Uffici Scolastici Regionali e i Centri Servizi Amministrativi amano scrivere per rendere lunghe e complicate le cose brevi e semplici (riuscendoci sempre).

La Direttiva ribadisce l’ovvio e di certo non può modificare leggi dello Stato e dunque qualche manifestazione di sorpresa appare sinceramente imbarazzante. Sarebbe interessante sapere chi ha scritto materialmente questa Direttiva e chi ha scritto il testo della Relazione presentata da Fioroni alla Commissione Cultura e Istruzione della Camera il 28 giugno scorso. Dubito sia stato Fioroni in prima persona a farlo, perché il Ministro mi sembra una persona intelligente lontano dai garbugli linguistici dei due documenti. La Direttiva è un misto di "scolastichese" e "politichese" con forme linguistiche adatte ad annoiare e distrarre il lettore. Suggerisco al Ministro di dotarsi in fretta di un bravo scrittore o di un bravo correttore, in modo da redigere in futuro documenti leggibili che ci allontanino dall’astruso "sanscrito" dei meandri ministeriali.

Sapere da dove deriva un documento è la base della sua interpretazione. Ai tempi della grande Università parigina del 1200 tra San Tommaso e San Bonaventura volarono documenti "grossi" e "gravi" e tutti i lettori per prima cosa verificavano la tenuta aristotelica o platonica di quei testi. Sapere quale ideologia o quale cultura stia dietro una legge o un documento ministeriale non significa voler situare i bambini a "destra" o a "sinistra" (anche se io me li ricordo i bambini in piazza contro la Riforma Moratti con i cartelli in mano e al collo, messi non certo da Berlusconi), ma capire l’origine del provvedimento. Se oggi le categorie sono "centrodestra" e "centrosinistra" è perché viviamo all’interno di una "scolastica" decadente, laddove non c’è neppure un "ipse dixit" aristotelico cui riferirsi.

L’ideologia o la visione del mondo non sono qualcosa che può stare fuori dalla produzione legislativa o dalle direttive ministeriali e dunque per interpretare bene quello che c’è scritto bisogna capire altrettanto bene da quale ideologia originano quei documenti. L’individualizzazione dei percorsi didattici viene "da sinistra", la loro personalizzazione "da destra": questo non vuol dire mettere i bambini di qua o di là, ma capire quale parte della società si intende rappresentare e perpetrare con una o l’altra scelta. Trent’anni di individualizzazione hanno portato la società (non i docenti) "a destra" e a chiedere maggiore "personalizzazione": capire il senso delle cose significa parlarne con cognizione di causa. Dare il nome giusto alle cose è anche un passo avanti nel tentativo di farsi capire da tutti, aristotelici o platonici che siano.


14 agosto 2006