Attività
incompatibili
a cura del prof. Enzo
Gallo responsabile dell’ufficio legale della Gilda degli insegnanti di Napoli
La disciplina sulle attività compatibili con l’insegnamento presenta molteplici
risvolti giuridici, contrattuali, disciplinari e di responsabilità, che hanno
dato luogo, anche in giurisprudenza, a dubbi interpretativi e a soluzioni
controverse, non sempre illuminanti per chiarezza. La normativa risente della
connotazione di esclusività che la stessa Costituzione(art.87) dà al rapporto di
pubblico impiego, qualificazione che oggi,almeno nel suo significato letterale,
appare datata.
Alcuni interpreti ritengono che la privatizzazione dei rapporti lavorativi abbia
fatto venir meno le ragioni giustificative delle regole di incompatibilità per i
pubblici dipendenti ma tale opinione appare in contrasto non solo con analoghi
divieti legislativi previsti nel settore privato ma anche con le innovazioni
introdotte all’impianto normativo esistente dalla legge n. 662/1996, applicabili
anche al personale scolastico. In particolare, l’art. 1, commi da 56 a 60, della
legge 662 ha ribadito, in generale, il divieto per il dipendente di "… svolgere
qualsiasi altra attività di lavoro subordinato o autonomo tranne che la legge o
altra fonte normativa ne prevedano l’autorizzazione rilasciata
dall’amministrazione di appartenenza e l’autorizzazione sia stata concessa". Il
divieto è sanzionabile, in caso di violazione, con il configurarsi di giusta
causa di recesso e causa di decadenza dall’impiego. Eccezioni al divieto sono
state configurate nei casi di part/time e di svolgimento di libere professioni
nonché nei casi in cui le prestazioni di lavoro subordinato o autonomo svolte al
di fuori del rapporto di impiego "…siano rese a titolo gratuito, presso
associazioni di volontariato o cooperative a carattere socio-assistenziale senza
scopo di lucro".
Da un’analisi comparata delle fonti legislative, della complessa congerie di
norme di vario livello (decreti ministeriali, circolari, norme contrattuali) e
della vasta giurisprudenza in materia emerge che, in via generale e allo stato
odierno della normativa, con il rapporto di lavoro part/time e con orario di
lavoro non superiore al 50% si ha un’attenuazione del dovere di esclusività e la
legittimità di altre attività diventa la regola mentre il lavoro
extraistituzionale è vietato solo se intercorre con un’altra amministrazione
pubblica o si pone in conflitto di interessi con l’amministrazione di
appartenenza.
Nel caso, invece, di lavoro a tempo pieno o di part-time a orario maggiore del
50%, il già vigente dovere di esclusività resta confermato nella sua portata
generale e anzi viene rafforzato. La regola, in questi casi, è nel senso che
tutte le attività lavorative extraistituzionali - anche se astrattamente
compatibili con quella principale in conformità dell’ordinamento proprio di
ciascun comparto pubblico e degli indirizzi applicativi di settore finora
seguiti - devono essere preventivamente autorizzate, pur se occasionalmente
svolte e la violazione del divieto di attività non autorizzata diventa giusta
causa di licenziamento.
E’ opportuno tuttavia precisare che le regole (spesso generiche) esistenti in
materia, devono essere applicate esaminando accuratamente ed analiticamente il
"caso concreto", cioè verificando e valutando tutte le circostanze di fatto e di
diritto contrassegnanti le specifiche attività che il docente intende svolgere.
Nell’ambito dell’incompatibilità si colloca l’ipotesi più specifica del cd.
cumulo di impieghi pubblici, in linea generale vietato e comportante un
provvedimento meramente dichiarativo di cessazione dall’impiego precedente,
quale atto dovuto con effetti dal momento stesso in cui si è instaurato il nuovo
rapporto (Cons. Stato, 11.05.1989 n. 287; 14.11.1995, n. 934), a differenza
della verificata incompatibilità con rapporto di lavoro privato (che esige la
previa diffida a cessare dall’attività incompatibile).
Il pubblico dipendente è pertanto obbligato - all’atto della stipulazione di
contratto di lavoro individuale (a tempo indeterminato o determinato)- entro 30
giorni e sotto la sua responsabilità - a dichiarare di non avere altri rapporti
di impiego pubblico o privato e di non trovarsi in nessuna delle situazioni di
incompatibilità ovvero, in caso contrario, a presentare dichiarazione di opzione
per il nuovo rapporto di lavoro. L’inosservanza delle suddette prescrizioni
comporta la mancata stipulazione del contratto o, per i rapporti già instaurati,
l’immediata risoluzione dei medesimi
Al fine di escludere l’incompatibilità non è utile la circostanza che il
dipendente abbia svolto regolarmente il suo lavoro istituzionale, in quanto la
normativa mira anche a salvaguardare le energie lavorative ai fini del miglior
rendimento nei confronti della P.A. (Cons. Stato, VI, 24 settembre 1993, n.
629). La normativa, peraltro, è applicabile anche se l’incompatibilità insorge
durante periodi di legittima assenza dal lavoro (Cons. Stato, 03.05.1974 n. 318)
e si estende al personale non di ruolo (Cons. Stato, 25.10.1966 n. 754).
Relativamente al rapporto di lavoro a tempo pieno sono inoltre vietate le
attività, onerose o gratuite, che oltrepassino i limiti della saltuarietà e
occasionalità, salvo disposizioni specifiche, e l’assunzione di cariche in
società a fini di lucro.
Riguardo all’individuazione delle attività incompatibili la circolare Funzione
Pubblica n. 6/1997 sottolinea la necessità che ciascuna amministrazione provveda
all’emanazione di decreti interministeriali per la più esatta tipizzazione delle
attività non consentite e delle procedure di autorizzazione. A tutt’oggi il
Ministero della P.I. non ha però emanato alcuna regolamentazione di settore
esaustiva e risolutrice delle non poche incertezze applicative per cui è compito
dell’interprete ricostruire, sulla base della normativa esistente e dei principi
generali, il quadro delle attività libere, di quelle vietate e di quelle
condizionate ad una preventiva autorizzazione.
La disciplina specifica è attualmente rinvenibile nell’art. 508 del T.U. n.
297/1994, nell’art. 53 del d.lgs. n. 165/2001 e in alcune clausole dei contratti
collettivi in vigore nel comparto.
Per le procedure di autorizzazione, va applicato l’art. 53, comma 10, del d.lgs.
n. 165/2001 citato. Nel caso di incarichi conferibili da parte di pubbliche
amministrazioni, l’autorizzazione si intende accordata se entro trenta giorni
dalla ricezione della richiesta non venga adottato un motivato provvedimento di
diniego (cd. silenzio-assenso). Negli altri casi, la mancata adozione di un
provvedimento esplicito equivale a diniego di autorizzazione.
La competenza al rilascio dell’autorizzazione è da ritenersi intestata al
dirigente scolastico ed essa, una volta concessa, dispiega i suoi effetti fino a
che non muti la situazione di fatto e di diritto posta a base della valutazione
di compatibilità tra le varie attività.
Ai docenti è fatto divieto di impartire lezioni private agli alunni frequentanti
il proprio istituto; per gli alunni appartenenti ad altra scuola, invece, c’è
l’obbligo di informare il capo di istituto ed è necessario che l’attività non
sia di fatto incompatibile con le esigenze di funzionamento della scuola (Cons.
Stato, 18.10.1993, n. 393). La violazione delle prescrizioni in materia di
lezioni private può comportare responsabilità disciplinari, nonché ulteriori
conseguenze nel caso previsto dal comma 5 dell’art. 508 (nullità degli scrutini
o prove di esame).
Quanto all’attività di insegnamento in scuole non statali esse sono ammissibili
se la prestazione non rivesta i caratteri di continuità, subordinazione e
professionalità potendo essere invece configurato l’esercizio di libera
professione intellettuale.
Le libere professioni intellettuali possono essere esercitate-anche
dall’insegnante a tempo pieno- purché non siano di pregiudizio alla funzione
docente (comprensiva di tutte le attività ad essa riferite), siano pienamente
compatibili con l’orario di insegnamento e di servizio e siano esplicate previa
autorizzazione del dirigente scolastico. La Corte costituzionale con sentenza
4-11 giugno 2001, n. 189, respingendo l’eccezione di incostituzionalità delle
disposizioni della legge 626/1997 che consentono al dipendente part/time di
esercitare una libera professione, ha ribadito tuttavia la necessità che le
singole amministrazioni regolamentino i casi di conflitto di interesse, di
incompatibilità assoluta per interferenza con compiti istituzionali, nonché
applichino altre esplicite disposizioni in tal senso.
Sono inoltre astrattamente compatibili, ma devono essere preventivamente
autorizzati gli incarichi conferiti da altre amministrazioni pubbliche per i
quali deve essere valutata la non interferenza con l’attività principale.
L’espletamento di attività lavorative incompatibili con il rapporto di pubblico
impiego, oltre che provocare effetti decadenziali o disciplinari, può causare
situazioni rilevanti sul piano della responsabilità patrimoniale per danno
erariale (v. Corte dei conti Sez. Umbria sent.11.3.1996 n.152 che ha ravvisato
il danno sia nella prestazione non dovuta per periodi in cui il docente si
astiene totalmente dal lavoro principale, sia nel pregiudizio arrecato al
regolare svolgimento del servizio pubblico di istituto, con un obiettivo e
patologico disservizio quantificabile in via equitativa dal giudice contabile).
Il provvedimento di decadenza dall’impiego importa la risoluzione del rapporto
di lavoro del dipendente che non abbia, a seguito di diffida e nel tempo
assegnatogli per la opzione, ottemperato all’invito di scegliere per la
cessazione dell’attività incompatibile, ha natura dichiarativa e pertanto
produce i suoi effetti a far data dalla scadenza del termine entro il quale egli
avrebbe dovuto rimuovere la causa di incompatibilità (Cons. Giust. Amm. Sicilia,
01.06.1993, n. 210).
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