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Esami di riparazione o corsi di
recupero?
Non ancora chiarezza.
di Angelo Scebba (componente del CNPI)
Ieri è stato firmato dal
Ministro della Pubblica Istruzione, on. Giuseppe Fioroni, il
decreto (che porta il numero 80) relativo all’organizzazione
degli interventi di sostegno e di recupero finalizzati a colmare le
lacune degli studenti della scuola media superiore valutati
insufficienti in una o più discipline. Tale decreto, che tesaurizza in
gran parte la precedente normativa in materia, ha concluso il percorso
di gestazione recependo anche quasi tutti gli
emendamenti proposti dal CNPI durante la sua ultima seduta di
settembre, tra i quali risulta importante quello che permette alle
famiglie una certa libertà decisionale in fatto di preparazione dei
figli. Significativo l’art. 9 che affida al POF il compito di definire
le modalità di recupero e di verifica dell’avvenuto saldo dei debiti
formativi. Purtroppo l’emendamento più importante che il CNPI aveva
avanzato e cioè quello relativo alla quantificazione delle risorse non
è stato accolto. Ancora una volta si pensa di poter fare i matrimoni
con i fichi secchi!
Ma torniamo al decreto
dando uno sguardo alla “storia” dell’esame di riparazione.
D’ispirazione gentiliana,
le rimandature a settembre, che hanno rovinato le agognate
vacanze estive di tante generazioni di studenti, sono state abolite
nel 1977 per la scuola elementare e media; nel 1995 sono state
cassate per le superiori dall’allora Ministro della Pubblica
Istruzione D’Onofrio, facendo un po’ miseramente crollare, in mancanza
di un’organica alternativa, l’intera struttura della scuola
secondaria di secondo grado. Ciò che è avvenuto in seguito è sotto
gli occhi di tutti, e, purtroppo, non si tratta di uno spettacolo
edificante. Il decreto di Fioroni giunge ora a mettere un po’ di
ordine nella carriera degli studenti, dopo che i suoi predecessori,
forse per evitare una sicura impopolarità, hanno sempre indugiato ad
affrontare il problema in maniera articolata e con il senso della
prospettiva.
Sosteniamo la tesi di una non coincidenza fra decreto e restaurazione
del vecchio esame di riparazione perchè numerosi appaiono i fattori
che li distanziano. Vediamone alcuni. Prima dell’abolizione
dell’esame di riparazione lo studente era rinviato alla sessione di
settembre e le famiglie (anche con gravi oneri economici) dovevano
provvedere alla preparazione estiva dei ragazzi. Adesso è
l’istituzione scolastica che giudica e offre nel contempo le occasioni
per gareggiare in parità: non è un passo da poco,
data la lentezza delle trasformazioni del nostro Paese. E’ vero che il
decreto prevede la sospensione del giudizio finale per gli studenti
insufficienti in qualche materia e il suo rinvio agli esiti delle
verifiche prima dell’avvio del nuovo anno scolastico (ciò
probabilmente ha creato la confusione tra recupero e odiato esame di
riparazione), ma, francamente, quale strumento hanno i docenti per
accertare l’acquisizione di un basico patrimonio di conoscenze e
competenze, cioè la progressività dell’apprendimento? Non
certamente quello di una conversazione salottiera!
In definitiva, quand’anche si trattasse di una subdola e strisciante
reintroduzione del vecchio esame di riparazione (ma, ribadiamo, non
è così!), bisognerebbe chiedersi se sia legittimo che uno studente
abbia il placet dei suoi insegnanti a frequentare la classe
successiva senza aver eliminato le carenze profittuali pregresse.
Tutti i docenti sanno che le ragioni di uno scarso rendimento
scolastico sono molto eterogenee, ma certamente è sbagliato collocare
sullo stesso piano chi resiste ad ogni motivazione allo studio e chi
invece è dotato di pochi strumenti cognitivi o chi ha sbagliato nella
scelta del proprio indirizzo di studio e chi non sa studiare. Ecco,
forse il decreto avrebbe dovuto associare strettamente al suo
contenuto la parte concernente il riorientamento degli
studenti nella scuola superiore, perché ciascun ragazzo dovrebbe
trovare il contesto scolastico più congeniale alle sue potenzialità,
che invece è compito ineludibile dell’istituzione scolastica far
emergere e sviluppare.
Angelo Scebba
(componente del CNPI)
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